mercoledì 4 novembre 2009
Prima che asciughino quei due o tre baci
Prima che asciughino quei due o tre baci
sulla fronte
e qui e lí,
ti chinerai per bere
acqua d'argento dallo specchio,
e se nessuno ti starà a guardare
ti toccherai le labbra con la bocca.
C'è un tempo in cui piú svelto delle dita
che lo scultore passa sulla creta
il sangue impaziente ti modella
il corpo dal di dentro.
Forse stringerai tra le dita
i tuoi giovani capelli
e li solleverai sopra le spalle
perché somiglino piuttosto ad ali,
e davanti a loro prontamente correrai
là
dove proprio davanti agli occhi
e sul fondo estremo dell'aria
sta il grande, erto, conturbante
e dolce nulla,
che splende.
Jaroslav Seifert
Inedita Alda
giovedì 29 ottobre 2009
domenica 25 ottobre 2009
Prima che bruci Parigi
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.
In alto, le case di pietra
senza incavi nè gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l'Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.
Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore.
Nazim Hikmet
Cera
Sono i tuoi occhi di cera
E le tue mani importanti
Sono i cortili ormai vuoti la sera
e quei suoni dispersi tra i tanti
sono le strade di notte
in cui ci si annega la vita
in cui si cammina tra sogni e mignotte
placando una vecchia ferita
sono le cose che hai detto in silenzio
le cose che ancora non sai come dire
le tracce lasciate su un vetro bagnato
in un giorno di poggia d’aprile
sono le ore scandite
da scosse e da brividi al cuore
sono le voci dal vento rapite
e le stelle che non sai contare
sono i rumori del mare
che cambia e non cambia e per sempre si muove
come il continuo aspettare
che resti o non resti
che possa cambiare
Lyrics by Petrol
Panni tesi all'ultimo sole
Panni sporchi è un film del 1999 diretto da Mario Monicelli.
Trama:
"La famiglia marchigiana dei Razzi ha un'impresa produttrice di caramelle digestive a base di cicoria, la cosiddetta 'cialda'. A capo della ditta c'è Furio, il marito di Cinzia Razzi, ma il suocero Amedeo, vorrebbe sostituirlo con il nipote Camillo, orfano di padre. Da questo incipit, nascono peripezie e intrighi nella famiglia..."
sabato 24 ottobre 2009
La stanza e lo scirocco.
La stanza dello scirocco
quasi una leggenda, quasi una metafora - è una particolarità
dell’architettura diciamo nobiliare della Sicilia: la stanza
in cui trovare riparo e ricreazione nelle ore in cui il
vento di sud-est dissecca, come dice l’antico poeta ,
la mente e le ginocchia.
La si può anche immaginare come al centro di un labirinto, con dentro un Minotauro nato da ogni
capricciosa e ardua promiscuità. A riparo del tempo meteorologico, la stanza dello scirocco è anche al
riparo del tempo storico: per cui traslucide sovrapposizioni di epoche e di eventi vi si possono ricreare
o, convergendo in un solo punto, dissolvervi.
tratto da:“La stanza dello scirocco” di Domenico Campana
giovedì 22 ottobre 2009
Pensieri di Dina
Dentro l'acqua che scorre ormai limpida e fresca di sole,
è un piacere gettarsi: a quest'ora non viene nessuno.
Fanno rabbrividire, le scorze dei pioppi, a toccarle col corpo,
più che l'acqua scrosciante di un tuffo. Sott'acqua è ancor buio
e fa un gelo che accoppa, ma basta saltare nel sole
e si torna a guardare le cose con occhi lavati.
E' un piacere distendersi nuda sull'erba già calda
e cercare con gli occhi socchiusi le grandi colline
che sormontano i pioppi e mi vedono nuda
e nessuno di là se ne accorge. Quel vecchio in mutande
e cappello, che andava a pescare, mi ha vista tuffarmi,
ma ha creduto che fossi un ragazzo e nemmeno ha parlato.
Questa sera ritorno una donna nell'abito rosso
- non lo sanno che sono ora stesa qui nuda quegli uomini
che mi fanno i sorrisi per strada - ritorno vestita
a pigliare i sorrisi. Non sanno quegli uomini
che stasera avrò fianchi più forti, nell'abito rosso,
e sarò un'altra donna. Nessuno mi vede quaggiù:
e di là dalle piante ci son sabbiatori piú forti
di quegli altri che fanno i sorrisi: nessuno mi vede.
Sono sciocchi gli uomini - stasera ballando con tutti
io sarò come nuda, come ora, e nessuno saprà
che poteva trovarmi qui sola. Sarò come loro.
Solamente, gli sciocchi, vorranno abbracciarmi ben stretta,
bisbigliarmi proposte da furbi. Ma cosa m'ímporta
delle loro carezze? So farmi carezze da me.
Questa sera dovremmo poter stare nudi e vederci
senza fare sorrisi da furbi. lo sola sorrido
a distendermi qui dentro l'erba e nessuno lo sa.
Cesare Pavese
martedì 20 ottobre 2009
Intervallo
Grande silenzio
Alberto Asor Rosa
Il grande silenzio
Intervista sugli intellettuali
Il Corriere della Sera - sabato 19 settembre 2009
Asor Rosa, un requiem per la fine degli ultimi intellettuali brontosauri
Un po' se ne dispera. Ma un po' se ne compiace. Gli intellettuali si estinguono per un «cataclisma culturale» paragonabile al «mutamento ciclopico di clima» che i paleontologi indicano come causa della fine dei brontosauri. Ma l'artefice della suggestiva comparazione, Alberto Asor Rosa, affronta con spirito ambivalente la «cerimonia degli addii» dell'intellettuale moderno messa a punto con Simonetta Fiori nel Grande silenzio pubblicato da Laterza. L'intellettuale spodestato, il maestro del pensiero oramai ripudiato, ripercorre autobiograficamente le tappe di una storia finita. Sottolineandone i tratti velleitari, eppure rivendicandone i frammenti di grandezza. Un requiem intonato con l'ironia da un intellettuale che contraddittoriamente riassume in sé gli opposti plasticamente raffigurati dall'intervistatrice Fiori: eterodosso nell'ortodossia, «paladino della classe operaia e difensore della letteratura altoborghese. Rovesciatore d'altari ma anche militante disciplinato. Animatore del Sessantotto e accademico rispettato».
La sincerità di un approccio autobiografico si misura sulla mancanza di indulgenza con cui si affrontano gli errori del passato. Asor Rosa supera l'esame. Ma non a pieni voti. È spietato con gli errori collettivi del «ceto dei colti» con cui si è identificato, ma lo è molto di meno con se stesso o, se si vuole, con la rielaborazione soggettiva con cui Asor Rosa ha interpretato una storia costellata di errori. Lui è sempre stato un metro avanti al mondo cui ha appartenuto con prestigio e autorevolezza. Ma mai che quella distanza fosse stata affrontata fino al punto di rischiare una rottura o una lacerazione. Con Scrittori e popolo ha compiuto in giovane età una delle riletture più demolitorie della tradizione culturale ufficiale della sinistra italiana. Ma in questo libro si erge a difensore della storia patria minacciata da non si sa bene quale iconoclastica spinta «neo revisionista». È stato il meno comunista degli intellettuali del Pci, ma al momento giusto, quando Occhetto — di cui peraltro era ascoltatissimo consigliere culturale — decise di cambiare le insegne del partito, lui si oppose con ira e veemenza. Scrive adesso che Occhetto condusse la svolta come un «bambino viziato», che «scassò tutto», che scelse di «smontare radicalmente il suo partito». Ma non spende una parola sul fragore apocalittico con cui il Muro di Berlino stava venendo giù. Dice che «il passato mi ha riserbato una montagna di delusioni» e che è mancata «all'intellighenzia di sinistra una seria discussione sulla storia comunista italiana, nel bene e nel male». Ma sembra incline più a ricavarne il «bene», minimizzando il «male» o addirittura dirottandolo interamente su Craxi, descritto in queste pagine con toni di autentica indignazione retroattiva. Anche se, sul comunismo (almeno sulla storia comunista), Craxi aveva ragione, e il Pci torto.
La storia degli intellettuali di sinistra che affiora da questo libro è ricca, piena di risultati preziosi, di figure che è giusto rimpiangere, di libri che per fortuna sono stati scritti, di battaglie che è stato bene condurre: i nuovi dinosauri hanno anche molte voci in attivo nel bilancio della loro esistenza. Asor Rosa giustamente in questo libro vanta una lettura straordinariamente profonda di Dante e di Marx. Oggi, purtroppo, finiti gli intellettuali si legge male, poco, disordinatamente, superficialmente. E se è vero che la fondazione di una rivista, l'impegno culturale in un'aula universitaria, la partecipazione talvolta nevrotica al dibattito pubblico, persino le liturgie e i riti e il lessico che hanno dato anima e forme al «ceto dei colti» oggi può muovere a un benevolo sorriso intriso di nostalgia per una storia destinata a partorire «montagne di delusioni», è anche vero che lo scenario odierno non autorizza neanche un minimo di ottimismo. Asor Rosa di questa storia (finita) è stato testimone e protagonista. Naturale che la sua scomparsa venga interpretata come una grande perdita per tutti. Non come un lutto irreparabile ma come il passaggio di un'epoca che smentisce l'assunto progressista che la storia sia orientata verso il meglio. Un passaggio che alimenta il rispetto per il «mondo di ieri». Anche se innesca in chi lo ha vissuto intensamente un «grande silenzio».
Pierluigi Battista
martedì 13 ottobre 2009
sabato 10 ottobre 2009
...elle regarde la mer
Elle regarde la mer
Pendant des heures entières
Dans un vieux rocking-chair anglais
Le soir quand il fait doux,
Juste entre chien et loup,
Elle s'en va jusqu'au bout du quai,
Sa jeunesse est tombée à l'eau
Aucun oiseau, aucun bateau
Ne reviendra de ce voyage
Ce n'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge
Pour traverser la nuit
Elle n'a au creux du lit
Qu'un vieux chat qui lui dit «Je t'aime»
Elle écrit des chansons
Sans savoir où elles vont
D'autres les chanteront peut-être,
La solitude est un bateau,
En restera-t-il un sur l'eau
Pour partir encor en voyage ?
Pour effacer les cris
De ces vieux chagrins qui
Prendront de l'âge ?
Ce n 'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge
Elle rentre lentement
Jusqu'à l'appartement
Où personne ne l'attend jamais,
Elle va dans la cuisine
Se faire un thé de Chine
Dans un très vieux service anglais,
Son amour est tombé à l'eau
Aucun oiseau, aucun bateau
Ne reviendra de ce naufrage
Ce n'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge.
martedì 6 ottobre 2009
Per me la guerra
"La guerra era come lui: invadeva, penetrava, imprigionava, rubava, c'era sempre, in tutto, mescolata a tutto, eterogenea, presente, nel corpo, nel pensiero,nella veglia, nel sonno, sempre, in preda all'inebriante passione di occupare l'adorabile territorio del corpo bambino, il corpo dei più deboli, dei popoli vinti, perchè il male è alle porte, ci sta addosso."
M. Duras, L'Amant, p. 70
venerdì 2 ottobre 2009
mercoledì 30 settembre 2009
L'Amant
OGNI GIORNO DIO MANGIA ME
Ogni giorno Dio mangia me.
Devo dirlo alle scale dopo la porta
- devo dirlo come l'ho pensato -
che sono io la Sua comuneunione di fame
la nube della non conoscenza.
Devo dirlo come l'ho pensato
a quelle che hanno della pioggia la lesione più grave
le scale mediche che battono tosse secca a terra
che non c'è altro di piovano
se non questo sangue medicamentoso che scende
a bocca aperta a anche su me.
Ogni giorno Dio mangia me – te -
i nostri corpi a lunga conservazione
dove la vita è una quantità di latte
se non viene afferrata per la carne tutt'intorno alla carne
- dirlo come l'ho pensato -
usa le mani
usa i buchi di Te
prima che i morti lesti penetrino dallo zerbino
i loro accenti infetti
entrino azzurri come gas nei cibi dei piccoli amen
- Da quale organo verrò spezzata? -
E non c'è altro di piovano
in questa stanza a scale che scroscia
se non il Tuo sangue tutto in torno alla nube
- da quale parte di me? -
Ogni giorno Dio mangia
mi afferra la carne tutta intorno alla carne
ti afferro la carne tutta intorno alla carne
perché niente si arrende nei morti
come le mani.
Tiziana Cera Rosco, "Lluvia"
Devo dirlo alle scale dopo la porta
- devo dirlo come l'ho pensato -
che sono io la Sua comuneunione di fame
la nube della non conoscenza.
Devo dirlo come l'ho pensato
a quelle che hanno della pioggia la lesione più grave
le scale mediche che battono tosse secca a terra
che non c'è altro di piovano
se non questo sangue medicamentoso che scende
a bocca aperta a anche su me.
Ogni giorno Dio mangia me – te -
i nostri corpi a lunga conservazione
dove la vita è una quantità di latte
se non viene afferrata per la carne tutt'intorno alla carne
- dirlo come l'ho pensato -
usa le mani
usa i buchi di Te
prima che i morti lesti penetrino dallo zerbino
i loro accenti infetti
entrino azzurri come gas nei cibi dei piccoli amen
- Da quale organo verrò spezzata? -
E non c'è altro di piovano
in questa stanza a scale che scroscia
se non il Tuo sangue tutto in torno alla nube
- da quale parte di me? -
Ogni giorno Dio mangia
mi afferra la carne tutta intorno alla carne
ti afferro la carne tutta intorno alla carne
perché niente si arrende nei morti
come le mani.
Tiziana Cera Rosco, "Lluvia"
martedì 29 settembre 2009
Io avevo una pietra
Io avevo una pietra
e questa pietra aveva un orizzonte
e l'orizzonte un desiderio
di spaccarsi, di fendersi
in melagrane,
in bianchi muri di calce
secondo un disegno che era
il disegno della mia morte.
E' con la propria morte
che bisogna abitare
la propria morte accertare
come la vuota ombra
d'un cane bianco, ritagliato
nella carta velina
che parte e torna
dai suoi viaggi nel nulla
e quelle corse, quel muso
alzato verso di noi
creano una tenerezza.
Ma ormai
senz'ombra
senza pietra come
come farò a sapere
dove sono, fino a che punto sono morto
o vivo
le cose da lasciare
e quelle da prendere.
E' la caverna, è la caverna.
E' la caverna dell'uomo
che ha i pantaloni stirati.
Ma i ginocchi celesti dell'infanzia
scorticati, gloriosamente piagati
quale vecchio pallone
incalzano, gonfiano con la pompa
da bicicletta, attenti
a prevederne ogni rimbalzo falso?
E ancora:
quand'è che è cominciato tutto questo?
Aprile 1960
Vittorio Bodini, "Tutte le poesie"
e questa pietra aveva un orizzonte
e l'orizzonte un desiderio
di spaccarsi, di fendersi
in melagrane,
in bianchi muri di calce
secondo un disegno che era
il disegno della mia morte.
E' con la propria morte
che bisogna abitare
la propria morte accertare
come la vuota ombra
d'un cane bianco, ritagliato
nella carta velina
che parte e torna
dai suoi viaggi nel nulla
e quelle corse, quel muso
alzato verso di noi
creano una tenerezza.
Ma ormai
senz'ombra
senza pietra come
come farò a sapere
dove sono, fino a che punto sono morto
o vivo
le cose da lasciare
e quelle da prendere.
E' la caverna, è la caverna.
E' la caverna dell'uomo
che ha i pantaloni stirati.
Ma i ginocchi celesti dell'infanzia
scorticati, gloriosamente piagati
quale vecchio pallone
incalzano, gonfiano con la pompa
da bicicletta, attenti
a prevederne ogni rimbalzo falso?
E ancora:
quand'è che è cominciato tutto questo?
Aprile 1960
Vittorio Bodini, "Tutte le poesie"
venerdì 5 giugno 2009
...attraversarel'attesa
Muoio dalla voglia di sentirti. Un'attesa senza tempo.
"triste è l'amore
che lascia tristi
gli altri
i pochi
che la tristezza
scontano
di amarti."
L.Ravera, La guerra dei figli.
"triste è l'amore
che lascia tristi
gli altri
i pochi
che la tristezza
scontano
di amarti."
L.Ravera, La guerra dei figli.
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