giovedì 29 ottobre 2009

domenica 25 ottobre 2009

...l'ora r(l)egale

Prima che bruci Parigi


Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi nè gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l'Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore.

Nazim Hikmet

Cera



Sono i tuoi occhi di cera
E le tue mani importanti
Sono i cortili ormai vuoti la sera
e quei suoni dispersi tra i tanti

sono le strade di notte
in cui ci si annega la vita
in cui si cammina tra sogni e mignotte
placando una vecchia ferita

sono le cose che hai detto in silenzio
le cose che ancora non sai come dire
le tracce lasciate su un vetro bagnato
in un giorno di poggia d’aprile

sono le ore scandite
da scosse e da brividi al cuore
sono le voci dal vento rapite
e le stelle che non sai contare

sono i rumori del mare
che cambia e non cambia e per sempre si muove
come il continuo aspettare
che resti o non resti
che possa cambiare

Lyrics by Petrol

Panni tesi all'ultimo sole



Panni sporchi è un film del 1999 diretto da Mario Monicelli.

Trama:
"La famiglia marchigiana dei Razzi ha un'impresa produttrice di caramelle digestive a base di cicoria, la cosiddetta 'cialda'. A capo della ditta c'è Furio, il marito di Cinzia Razzi, ma il suocero Amedeo, vorrebbe sostituirlo con il nipote Camillo, orfano di padre. Da questo incipit, nascono peripezie e intrighi nella famiglia..."

sabato 24 ottobre 2009

La stanza e lo scirocco.


La stanza dello scirocco
quasi una leggenda, quasi una metafora - è una particolarità
dell’architettura diciamo nobiliare della Sicilia: la stanza
in cui trovare riparo e ricreazione nelle ore in cui il
vento di sud-est dissecca, come dice l’antico poeta ,
la mente e le ginocchia.

La si può anche immaginare come al centro di un labirinto, con dentro un Minotauro nato da ogni
capricciosa e ardua promiscuità. A riparo del tempo meteorologico, la stanza dello scirocco è anche al
riparo del tempo storico: per cui traslucide sovrapposizioni di epoche e di eventi vi si possono ricreare
o, convergendo in un solo punto, dissolvervi.

tratto da:“La stanza dello scirocco” di Domenico Campana

giovedì 22 ottobre 2009

Pensieri di Dina




Dentro l'acqua che scorre ormai limpida e fresca di sole,
è un piacere gettarsi: a quest'ora non viene nessuno.
Fanno rabbrividire, le scorze dei pioppi, a toccarle col corpo,
più che l'acqua scrosciante di un tuffo. Sott'acqua è ancor buio
e fa un gelo che accoppa, ma basta saltare nel sole
e si torna a guardare le cose con occhi lavati.

E' un piacere distendersi nuda sull'erba già calda
e cercare con gli occhi socchiusi le grandi colline
che sormontano i pioppi e mi vedono nuda
e nessuno di là se ne accorge. Quel vecchio in mutande
e cappello, che andava a pescare, mi ha vista tuffarmi,
ma ha creduto che fossi un ragazzo e nemmeno ha parlato.

Questa sera ritorno una donna nell'abito rosso
- non lo sanno che sono ora stesa qui nuda quegli uomini
che mi fanno i sorrisi per strada - ritorno vestita
a pigliare i sorrisi. Non sanno quegli uomini
che stasera avrò fianchi più forti, nell'abito rosso,
e sarò un'altra donna. Nessuno mi vede quaggiù:
e di là dalle piante ci son sabbiatori piú forti
di quegli altri che fanno i sorrisi: nessuno mi vede.
Sono sciocchi gli uomini - stasera ballando con tutti
io sarò come nuda, come ora, e nessuno saprà
che poteva trovarmi qui sola. Sarò come loro.
Solamente, gli sciocchi, vorranno abbracciarmi ben stretta,
bisbigliarmi proposte da furbi. Ma cosa m'ímporta
delle loro carezze? So farmi carezze da me.
Questa sera dovremmo poter stare nudi e vederci
senza fare sorrisi da furbi. lo sola sorrido
a distendermi qui dentro l'erba e nessuno lo sa.

Cesare Pavese

martedì 20 ottobre 2009

Intervallo


...madre mi fu Parola e padre il Segno dispotici ed astiosi e maledetti bisbigli di segreti e di promesse e ho disperato anni ad ogni fiato.

P. Panebianco

Grande silenzio


Alberto Asor Rosa
Il grande silenzio
Intervista sugli intellettuali
Il Corriere della Sera - sabato 19 settembre 2009
Asor Rosa, un requiem per la fine degli ultimi intellettuali brontosauri

Un po' se ne dispera. Ma un po' se ne compiace. Gli intellettuali si estinguono per un «cataclisma culturale» paragonabile al «mutamento ciclopico di clima» che i paleontologi indicano come causa della fine dei brontosauri. Ma l'artefice della suggestiva comparazione, Alberto Asor Rosa, affronta con spirito ambivalente la «cerimonia degli addii» dell'intellettuale moderno messa a punto con Simonetta Fiori nel Grande silenzio pubblicato da Laterza. L'intellettuale spodestato, il maestro del pensiero oramai ripudiato, ripercorre autobiograficamente le tappe di una storia finita. Sottolineandone i tratti velleitari, eppure rivendicandone i frammenti di grandezza. Un requiem intonato con l'ironia da un intellettuale che contraddittoriamente riassume in sé gli opposti plasticamente raffigurati dall'intervistatrice Fiori: eterodosso nell'ortodossia, «paladino della classe operaia e difensore della letteratura altoborghese. Rovesciatore d'altari ma anche militante disciplinato. Animatore del Sessantotto e accademico rispettato».

La sincerità di un approccio autobiografico si misura sulla mancanza di indulgenza con cui si affrontano gli errori del passato. Asor Rosa supera l'esame. Ma non a pieni voti. È spietato con gli errori collettivi del «ceto dei colti» con cui si è identificato, ma lo è molto di meno con se stesso o, se si vuole, con la rielaborazione soggettiva con cui Asor Rosa ha interpretato una storia costellata di errori. Lui è sempre stato un metro avanti al mondo cui ha appartenuto con prestigio e autorevolezza. Ma mai che quella distanza fosse stata affrontata fino al punto di rischiare una rottura o una lacerazione. Con Scrittori e popolo ha compiuto in giovane età una delle riletture più demolitorie della tradizione culturale ufficiale della sinistra italiana. Ma in questo libro si erge a difensore della storia patria minacciata da non si sa bene quale iconoclastica spinta «neo revisionista». È stato il meno comunista degli intellettuali del Pci, ma al momento giusto, quando Occhetto — di cui peraltro era ascoltatissimo consigliere culturale — decise di cambiare le insegne del partito, lui si oppose con ira e veemenza. Scrive adesso che Occhetto condusse la svolta come un «bambino viziato», che «scassò tutto», che scelse di «smontare radicalmente il suo partito». Ma non spende una parola sul fragore apocalittico con cui il Muro di Berlino stava venendo giù. Dice che «il passato mi ha riserbato una montagna di delusioni» e che è mancata «all'intellighenzia di sinistra una seria discussione sulla storia comunista italiana, nel bene e nel male». Ma sembra incline più a ricavarne il «bene», minimizzando il «male» o addirittura dirottandolo interamente su Craxi, descritto in queste pagine con toni di autentica indignazione retroattiva. Anche se, sul comunismo (almeno sulla storia comunista), Craxi aveva ragione, e il Pci torto.

La storia degli intellettuali di sinistra che affiora da questo libro è ricca, piena di risultati preziosi, di figure che è giusto rimpiangere, di libri che per fortuna sono stati scritti, di battaglie che è stato bene condurre: i nuovi dinosauri hanno anche molte voci in attivo nel bilancio della loro esistenza. Asor Rosa giustamente in questo libro vanta una lettura straordinariamente profonda di Dante e di Marx. Oggi, purtroppo, finiti gli intellettuali si legge male, poco, disordinatamente, superficialmente. E se è vero che la fondazione di una rivista, l'impegno culturale in un'aula universitaria, la partecipazione talvolta nevrotica al dibattito pubblico, persino le liturgie e i riti e il lessico che hanno dato anima e forme al «ceto dei colti» oggi può muovere a un benevolo sorriso intriso di nostalgia per una storia destinata a partorire «montagne di delusioni», è anche vero che lo scenario odierno non autorizza neanche un minimo di ottimismo. Asor Rosa di questa storia (finita) è stato testimone e protagonista. Naturale che la sua scomparsa venga interpretata come una grande perdita per tutti. Non come un lutto irreparabile ma come il passaggio di un'epoca che smentisce l'assunto progressista che la storia sia orientata verso il meglio. Un passaggio che alimenta il rispetto per il «mondo di ieri». Anche se innesca in chi lo ha vissuto intensamente un «grande silenzio».

Pierluigi Battista

sabato 10 ottobre 2009

...elle regarde la mer


Elle regarde la mer
Pendant des heures entières
Dans un vieux rocking-chair anglais
Le soir quand il fait doux,
Juste entre chien et loup,
Elle s'en va jusqu'au bout du quai,
Sa jeunesse est tombée à l'eau
Aucun oiseau, aucun bateau
Ne reviendra de ce voyage

Ce n'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge

Pour traverser la nuit
Elle n'a au creux du lit
Qu'un vieux chat qui lui dit «Je t'aime»
Elle écrit des chansons
Sans savoir où elles vont
D'autres les chanteront peut-être,
La solitude est un bateau,
En restera-t-il un sur l'eau
Pour partir encor en voyage ?

Pour effacer les cris
De ces vieux chagrins qui
Prendront de l'âge ?

Ce n 'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge

Elle rentre lentement
Jusqu'à l'appartement
Où personne ne l'attend jamais,
Elle va dans la cuisine
Se faire un thé de Chine
Dans un très vieux service anglais,
Son amour est tombé à l'eau
Aucun oiseau, aucun bateau
Ne reviendra de ce naufrage

Ce n'est pas qu'on vieillit,
Juste les chagrins qui
Prennent de l'âge.

Elle regarde

martedì 6 ottobre 2009

Ruggine sul viso

Per me la guerra




"La guerra era come lui: invadeva, penetrava, imprigionava, rubava, c'era sempre, in tutto, mescolata a tutto, eterogenea, presente, nel corpo, nel pensiero,nella veglia, nel sonno, sempre, in preda all'inebriante passione di occupare l'adorabile territorio del corpo bambino, il corpo dei più deboli, dei popoli vinti, perchè il male è alle porte, ci sta addosso."

M. Duras, L'Amant, p. 70

venerdì 2 ottobre 2009