mercoledì 30 settembre 2009

L'Amant



Penso spesso a un'immagine che solo io vedo ancora e di cui non ho mai parlato. E' sempre lì, fasciata di silenzio, e mi meraviglia. La prediligo fra tutte, in lei mi riconosco, m'incanto.

M. Duras, L'Amant, p. 11

OGNI GIORNO DIO MANGIA ME

Ogni giorno Dio mangia me.
Devo dirlo alle scale dopo la porta
- devo dirlo come l'ho pensato -
che sono io la Sua comuneunione di fame
la nube della non conoscenza.
Devo dirlo come l'ho pensato
a quelle che hanno della pioggia la lesione più grave
le scale mediche che battono tosse secca a terra
che non c'è altro di piovano
se non questo sangue medicamentoso che scende
a bocca aperta a anche su me.
Ogni giorno Dio mangia me – te -
i nostri corpi a lunga conservazione
dove la vita è una quantità di latte
se non viene afferrata per la carne tutt'intorno alla carne
- dirlo come l'ho pensato -
usa le mani
usa i buchi di Te
prima che i morti lesti penetrino dallo zerbino
i loro accenti infetti
entrino azzurri come gas nei cibi dei piccoli amen

- Da quale organo verrò spezzata? -

E non c'è altro di piovano
in questa stanza a scale che scroscia
se non il Tuo sangue tutto in torno alla nube
- da quale parte di me? -
Ogni giorno Dio mangia
mi afferra la carne tutta intorno alla carne

ti afferro la carne tutta intorno alla carne
perché niente si arrende nei morti

come le mani.

Tiziana Cera Rosco, "Lluvia"

martedì 29 settembre 2009

Io avevo una pietra

Io avevo una pietra
e questa pietra aveva un orizzonte
e l'orizzonte un desiderio
di spaccarsi, di fendersi
in melagrane,
in bianchi muri di calce
secondo un disegno che era
il disegno della mia morte.

E' con la propria morte
che bisogna abitare
la propria morte accertare
come la vuota ombra
d'un cane bianco, ritagliato
nella carta velina
che parte e torna
dai suoi viaggi nel nulla
e quelle corse, quel muso
alzato verso di noi
creano una tenerezza.

Ma ormai
senz'ombra
senza pietra come
come farò a sapere
dove sono, fino a che punto sono morto
o vivo
le cose da lasciare
e quelle da prendere.
E' la caverna, è la caverna.
E' la caverna dell'uomo
che ha i pantaloni stirati.
Ma i ginocchi celesti dell'infanzia
scorticati, gloriosamente piagati
quale vecchio pallone
incalzano, gonfiano con la pompa
da bicicletta, attenti
a prevederne ogni rimbalzo falso?

E ancora:
quand'è che è cominciato tutto questo?

Aprile 1960

Vittorio Bodini, "Tutte le poesie"